In un momento storico -come quello attuale- segnato dai diritti negati ai migranti imbarcati dalle ONG, primo fra tutti quello di essere accolti (anche senza documenti, ne arte e ne parte) i diritti dei disabili, cittadini italiani, invece sembrano essere passati in cavalleria e in un silenzio assordante politicamente trasversale. Inaccettabile per noi di MAP trattamenti iniqui, a maggior ragione, da quando per la prima volta il Governo italiano si è dotato di un ministero dedicato alla disabilità, lasciando intendere un cambio di paradigma, rispetto al passato. Essere disabili, già con la rettifica della Convenzione ONU del 2006, oggi non significa soltanto aver diritto all’assistenza e a cure speciali, ma anche di vivere una vita dignitosa al pari di ogni altro cittadino italiano, in tutti i livelli sociali, dal ludico al lavorativo, passando per il diritto all’istruzione e alla partecipazione alla vita politica.

Ripeschiamo pertanto dal passato la legge numero 67 del 2006 “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” (G.U. n. 54 del 6 marzo 2006). Da un nostro sondaggio, risulta essere una legge poco conosciuta specialmente da coloro i quali potrebbero impugnarla, i disabili. Da ciò, probabilmente, è anche poco applicata.
La nostra associazione MAP desidera portare a conoscenza questo strumento legislativo, non solo dei propri associati, ma anche di tutti i cittadini portatori d’interesse. In quest’ottica vale, più che mai, la locuzione “sapere è potere”,  perché a nostro avviso, l’unione di persone informate può costituire una grande forza per lo sviluppo di una società veramente inclusiva e solidale.

Innanzitutto si tratta di una legge corta, per cui è semplice ricordarla. In buona sostanza, lo scopo del legislatore era quello di tutelare le persone con disabilità, vittime di discriminazioni in base a un principio di parità di trattamento, in contrasto con qualsiasi forma di discriminazione, spaziando su varie attività della vita.

A nostro avviso, la legge 67/2006 costituisce l’ultima ratio a cui ricorrere dopo fatti estremi, la “testa di ariete” per sfondare le barriere culturali, più resistenti rispetto a quelle architettoniche, perché mentre la tecnica e la scienza sono gestibili, l’ignoranza e il pregiudizio invece non lo sono altrettanto! Il contesto, in cui suggeriamo dunque l’applicazione della legge in questione, è quello in cui opera la nostra associazione: l’abbattimento o superamento delle barriere architettoniche in luoghi, aperti o chiusi, ed eventi destinati al pubblico. Insomma, un corposo capitolo che inauguriamo con questo articolo, al quale seguirà una serie per stimolare da una parte i disabili a raccogliere il coraggio di far valere i propri diritti e dall’altra ad indurre progettisti o gestori di locali aperti al pubblico a migliorare i loro servizi in termini di accessibilità e accoglienza. Essere accessibili non necessariamente significa anche essere inclusivi.  La discriminazione dunque è considerata un reato impugnabile ai sensi della L 67/2006. Il concetto è importante non solo per chi si sente discriminato, ma anche per chi discrimina poiché passibile di essere sanzionato nel caso in cui non provveda ad attuare un piano di eliminazione o superamento delle barriere architettoniche.

Tipi di discriminazione: diretta e indiretta

Le ipotesi di discriminazione contro cui è possibile reagire presentando ricorso al Tribunale sono essenzialmente di due tipi:
diretta (comma 2: determina cioè un trattamento meno favorevole per motivi connessi alla disabilità) si pensi al caso , oppure obbligare un disabile ad accedere dalla porta di servizio passando per una rampa a pendenza elevata (oltre 8 gradi) dedicata ai facchini per il trasporto dei bagagli in un hotel di lusso;
indiretta (comma 3: quando un fatto apparentemente neutro mette una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto agli altri: si pensi al divieto di portare cani in un ristorante, fatto di per sé neutro, che però, per una persona non vedente con cane guida, diventa ragione di svantaggio).

In virtù della L. 67/2006 se si accerta la discriminazione, il giudice può:

  • ordinare, se il ricorrente lo richiede, il risarcimento del danno – anche non patrimoniale – da discriminazione, cioè quello che deriva dal non aver potuto fare una cosa come gli altri;
  • ordinare la cessazione della discriminazione, se ancora in corso;
  • adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione;
  • ordinare l’adozione, entro il termine fissato, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, soluzione indicata per i casi in cui gli eventi lesivi siano estesi e, perciò, impossibili da eliminare con un singolo atto. Immaginiamo, ad esempio, che il giudice accerti che una serie di stazioni ferroviarie non sono utilizzabili da clienti disabili; in questo caso l’adozione di un piano di modifica delle stazioni è probabilmente la soluzione più idonea; nel privato potrebbe essere una sede bancaria priva di accesso ai disabili o di dispositivi o servizi alternativi che pregiudicano la vita del disabile.
  • ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta, su un quotidiano a tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato.

Altra utilità della L 67/2006: è impugnabile anche contro le molestie e, in genere, contro tutti quei comportamenti, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità o creano un clima di intimidazione, umiliazione e ostilità nei suoi confronti.

Casi di giurisprudenza, esempi virtuosi

La Legge 67 ha incominciato ad essere applicata nei Tribunali per cui è molto utile conoscere alcuni casi a titolo di esempio virtuoso.

Sardegna. Ordinanza del Tribunale di Tempio Pausania, in Sardegna, del 20 settembre 2007, nella quale il Giudice ha condannato un circolo nautico al risarcimento del danno in favore di una persona con disabilità in sedia a rotelle. In tale occasione si è ritenuto discriminatorio il fatto che una barca fosse stata spostata senza avvertire il proprietario e che alla stessa persona con disabilità fosse stato impedito di affiancare al proprio natante un mezzo di sollevamento che avrebbe dovuto consentirle di passare dalla propria carrozzina all’imbarcazione stessa. Il dato interessante è che il Giudice, per quantificare il danno, ha deciso di centuplicare il valore della quota di iscrizione, arrivando così alla somma di 4.000 euro.

Puglia. Il 4 giugno 2009 il Tribunale di Taranto, Sezione di Martina Franca, riconosceva che una persona con disabilità era stata discriminata in occasione degli esami di abilitazione alla professione forense. In particolare, quel Giudice aveva considerato discriminatorie la ritardata consegna del codice cartaceo, la postazione di lavoro che era stata assegnata al candidato (di fatto per lui inutilizzabile dalla sedia a rotelle, per via dell’altezza del piano di lavoro) e l’assenza delle forze dell’ordine all’ingresso, che avrebbero dovuto agevolare l’entrata del candidato nella sede di esame. In quel caso il Giudice quantificò il danno sofferto – patrimoniale e non patrimoniale – in 4.000 euro.

Lombardia. Il 10 gennaio del 2011 il Tribunale di Milano ha riconosciuto che la mancata assegnazione di insegnanti di sostegno – ponendo gli alunni con disabilità in condizione di svantaggio rispetto agli altri – costituisce discriminazione indiretta. L’Ordinanza emessa il 10 gennaio scorso richiama anche la menzionata Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e la Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto indefettibile il diritto all’istruzione e sostanzialmente dichiarato che l’assegnazione di insegnanti di sostegno, in quanto funzionale al soddisfacimento di quel diritto, non soggiace a vincoli di bilancio

Toscana. Un correntista di una banca, vistosi rigettare dalla Corte d’appello la sua domanda di adeguamento del bancomat di un istituto bancario all’uso dei disabili su sedia a rotelle ai sensi del Dprg regionale Toscana (n.41/r 2009) in materia di barriere architettoniche poiché il bancomat era stato installato prima dell’entrata in vigore di tali disposizioni è ricorso alla Corte di Cassazione. Quest’ultima ha chiarito che l’accessibilità ai disabili è regolamentata da una normativa statale e regionale precisa ed obbligatoria. Ha pertanto sentenziato inesatto quanto stabilito precedentemente dalla Corte d’appello e ciò sul presupposto che il regolamento in questione è appunto un regolamento di attuazione di una legge regionale, un regolamento esecutivo. Quindi essendo puramente un regolamento esecutivo non può condizionare l’attuazione dei diritti riconosciuti da una fonte primaria (legge statale) da cui deriva la sua ragione di esistenza e rispetto alla quale si pone in posizione accessoria. Ne consegue che, anche in mancanza di norme regolamentari di dettaglio che dettino le caratteristiche tecniche dei luoghi, spazi, parti di un edificio, qualora l’accessibilità sia prevista dalle norme di legge a favore delle persone disabili, questa dovrà in ogni caso essere assicurata! La sentenza ha precisato inoltre che non si tratta solo di garantire la possibilità di raggiungere l’apparecchio bancomat, ma anche di assicurare l’accesso al corrispondente servizio bancario. In attuazione della sentenza, l’istituto di credito, denunciato per discriminazione diretta, è stato obbligato pertanto ad adeguare lo sportello bancomat in modo che possa usufruire del servizio anche la persona costretta sulla sedia a rotelle.

Per concludere, l’unico problema che ravvisiamo, è la discrezionalità i applicazione della legge da parte del giudice, in modo più o meno vantaggioso per il disabile. Il consiglio è di rivolgersi a un avvocato esperto in materia e ben referenziato. Le associazioni per l’inclusione sociale dei disabili possono costituire un ottimo strumento per raccogliere dati utili alla causa.