Ogni buon politico sa che le delibere più “antipatiche” vanno adottate sotto le feste. Meglio se sotto Natale, quando cittadini e famiglie sono distratti. Un principio che non sfugge alla giunta lombarda di Attilio Fontana, che il 23 dicembre scorso – oltre all’affidamento diretto a Trenord per 5 miliardi di euro – ha anche approvato la delibera XI/2720 riguardante la ripartizione del Fondo nazionale per le non autosufficienze.

Un documento col quale il Pirellone ha falcidiato le risorse destinate alle famiglie nelle quali è presente una persona o un minore riconosciuto con disabilità gravissima, burocraticamente definiti in Lombardia categorie B1 (disabili gravissimi) e B2 (disabili gravi). Un taglio in due anni pari al 60% dei fondi a famiglia, che segue quello deciso a dicembre 2018, il quale già era stato notevole, pari al 40%. In soldoni, il Pirellone è passato dallo stanziare mille euro nel 2018, a 600 nel 2019, per approdare ai 400 previsti per il 2020.

Una sforbiciata – che va a colpire i più deboli – incomprensibile se si considera che il governo nazionale, dopo tanti anni, ha incrementato la dotazione del Fondo per le non autosufficienze, assegnando al Pirellone circa 90 milioni, sia per il 2020 che per il 2021, a fronte dei 70 milioni circa del 2019.

Un aumento di quasi il 20% delle risorse destinate a garantire i diritti delle persone disabili, definite dalla Corte Costituzionale “incomprimibili per esigenze di bilancio” (sent. 275 del 2016). Tuttavia – e qui è stato l’inghippo – lo stato ha deciso che a ogni famiglia italiana dovessero andare almeno 400 euro, considerando che in molte regioni del Paese non era previsto alcun aiuto. La  Lombardia, dove invece l’aiuto era già attivo, ha preso la palla al balzo e ha abbassato i contributi, giustificando la scelta come un riallineamentoalle norme nazionali.

“Le risorse già stanziate nel 2019 dalla Regione Lombardia sul fondo disabili gravi e gravissimi sono state confermate nel 2020. Non si può quindi parlare di tagli”, ha spiegato l’assessore regionale alle Politiche sociali, abitative e Disabilità, Stefano Bolognini, “il limite del livello essenziale di prestazione a 400 euro deriva dall’adeguamento a una norma statale. Proprio per ovviare a questa situazione ed andare incontro a chi ne ha più bisogno, la Regione Lombardia ha previsto la possibilità di erogare ulteriori risorse rispetto al livello essenziale, confermando di fatto quanto previsto negli anni precedenti, nel rispetto di alcune fondamentali condizioni, tra cui la regolarizzazione dell’eventuale caregiver. Tutto questo nonostante il numero dei beneficiari sia triplicato dal 2013 ad oggi, passando da  2.400 persone a 7.200”.

Ma a cosa servono quei fondi? Sono soldi destinati al supporto dei “caregiver”, colui cioè che letteralmente si “prende cura” della persona disabile. Si tratta di parenti – nel 74% dei casi sono donne, la maggior parte con età inferiore ai 45 anni – che lasciano lavoro e carriera per dedicarsi a tempo pieno alla cura della persona.

La filosofia del sostegno è che se sei costretta ad accudire un figlio disabile grave, assolvendo anche a compiti delle istituzioni, è giusto che le stesse istituzioni ti riconoscano un aiuto. Ora quei 400 euro mensili (cioè 4.800 euro l’anno) riconosciuti dalla Regione al caregiver sono vissuti dai genitori come “un vero e proprio insulto”. Come si legge nella missiva firmata da 65 famiglie indirizzata alla Regione e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il caregiver, quasi sempre mamma o papà del disabile, rinuncia ad avere una propria vita, perché sceglie di dedicare la stessa totalmente ed incondizionatamente alla persona che assiste. Ciò significa non poter lavorare o non poterlo fare a tempo pieno, in entrambi i casi comunque, non potersi avvalere di sostentamento economico adeguato. A ciò si aggiunge che spesso queste famiglie, devono pagare personale che possa aiutarle nella gestione quotidiana”, scrivono le famiglie che hanno iniziato la lotta.

Le quali sottolineano poi un altro aspetto pessimo della delibera lombarda, quello del “buono aggiuntivo” (sorta di compensazione al taglio economico) da utilizzare per pagare l’assistenza esterna, che deve essere però un’assunzione con regolare contratto.

Si va da un minimo di 200 euro per 20 ore di assistenza settimanale, ad un massimo di 700 euro per 54 ore di assistenza settimanale con personale convivente”, spiega a Business Insider Italia la mamma di una bambina con grave disabilità, “Cifre assolutamente ridicole, in quanto una singola ora di assistenza specialistica(educatore-infermiere) costa mediamente 25/30 euro, fatevi un po’ i conti. Inoltre non tutte le famiglie hanno lo spazio fisico per assumere un collaboratore a tempio pieno. E allora facciamoli un po’ di conti: “Tenendo presente i costi orari delle figure di assistenza minimo sopra citati e che il dgr ci chiede un contratto per minimo 10 ore alla settimana, 40 ore al mese, si osserva che il costo mensile sarebbe di 800 euro e fronte di un finanziamento del dgr di 200. I 600 euro mancanti chi li dovrebbe mettere?”, si chiede la mamma.

Altro aspetto della norma fortemente criticato dalle famiglie è quello che vincola l’erogazione dei contributi alle ore di frequenza scolastica, differenziando quanti frequentano per meno di 14 ore settimanali, meno di 25 o meno di 35, comprese le ore dei servizi diurni. Fino all’anno scorso vi era una differenza solo tra chi frequentava la scuola meno di 14 ore settimanali e chi la frequentava ad orario completo (prendendo le 25 ore settimanali come riferimento). Tuttavia, per legge, gli orari della scuola sono: 30 ore settimanali per la scuola d’infanzia, dalle 27 alle 40 ore settimanali per la scuola primaria, 30 ore settimanali per la scuola secondaria di primo grado e dalle 25 ore a salire per la secondaria di secondo grado. Ora, la legge regionale prevede che meno ore di scuola fa il bambino, più alto è l’aiuto. Quindi, se il disabile migliora e non ha ricadute (ricordiamoci che parliamo di cronici), ha diritto a meno soldi. Al di là del cinismo, il nuovo dgr vincola cioè l’erogazione del bonus ad un massimo di 25 ore per settimana di frequenza (cioè ben al di sotto degli obblighi scolastici), superate le quali niente rimborso. Inoltre “il calcolo dell’effettiva frequenza per i ragazzi con disabilità grave è complicato da malattie, visite mediche, operazioni… in alcuni casi programmate, ma nella maggior parte dei casi improvvise ed imprevedibili”, spiegano le famiglie.

Una decisione che oltretutto cozza con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, secondo la quale il diritto allo studio delle persone disabili, è un diritto fondamentale (sent. 25/11/2014 n. 25011) e che pertanto, “l’esercizio di tale diritto non può costituire base per la ripartizione in disavanzo di misure atte a riequilibrare la disparità economica, sociale e sanitaria in cui versano le famiglie al cui interno è presente una persona disabile minore”.

Insomma, secondo le famiglie, nella nuova legge lombarda non vi è nulla che vada bene, tanto che nella lettera a Fontana e Conte chiedono:

– di modificare l’importo della misura B1, riportando lo stesso alla cifra di due anni fa (euro 1000), senza vincoli di assunzione di personale, importo, che per la complessità di cure, assistenza, gestione familiare e mancate entrate da reddito da lavoro, è quello minimo per dar fronte alle necessità minime delle famiglie con disabili gravissimi;

– di modificare i criteri d’accesso: chi per legge è disabile gravissimo deve poter accedere alla misura B1, senza vincoli di frequenza scolastica.

E nella loro battaglia – solitaria, visto che gran parte delle associazioni che si occupano di disabilità dipendono dai contributi e dagli accreditamenti di Regione Lombardia e sono quindi poco inclini a schierarsi –  le famiglie sono determinate a non mollare.

In pochi giorni la chat delle 65 famiglie firmatarie della missiva ha aggiunto centinaia di nuovi numeri di telefono e la petizione lanciata su Chang.org ha raccolto in 9 ore oltre 1.500 firme.

Battaglieri, quindi, come dimostra la chiusura della lettera alle istituzioni: “Certi della vostra attenzione e fiduciosi che le nostre richieste possano essere prese in considerazione, precisiamo che in caso di attuazione della delibera in oggetto senza modifiche sostanziali, le famiglie/associazioni firmatarie di codesta missiva, metteranno in campo ogni azione volta a difendere e garantire i propri diritti”.