Condividiamo le riflessioni sul problema dell’alloggio accessibile, pubblicate in un recente articolo, firmato da Nancy Holman, economista e docente alla LSE School di Londra. La nostra associazione desidera rilanciare l’appello britannico ai signori italiani (politici, dirigenti, speculatori…)

Il mercato che crea città di soli ricchi.

Di chi sono le metropoli?

Da Londra a Berlino, i centri cittadini sono affare di fondi e paperoni. La mancanza di abitazioni a prezzi popolari è tra le cause più forti della disuguaglianza: i governi devono intervenire.

Lavoro nel campo della pianificazione urbana da abbastanza tempo da aver visto la sostenibilità entrare nel vocabolario dei nostri decisori politici, restare lì e avere scarsi risultati.
In città come Londra, ho visto la crisi dell’accessibilità degli alloggi passare dall’essere una preoccupazione delle fasce della popolazione col reddito più basso a quegli strati sociali che almeno in teoria guadagnano un buon salario. In contemporanea, ho visto allargarsi i divari di reddito e crescere le divisioni nelle nostre città. L’idea provocatoria che le nostre città sono così in crisi da non avere più senso mi ha sfidato a superare l’attitudine alla denuncia dei problemi, tipica del mondo accademico, per tornare a dare una prospettiva più ricca e ampia per il futuro.
Uno dei punti su cui trovo più interessante riflettere è il concetto di densità urbana, partendo da quello di “città compatta”, che ormai sembra diventata una vera e propria dottrina su come gestiamo e pianifichiamo le nostre città: la mia paura è che si finisca per abbracciare questa politica con una fede cieca e acritica. Per quanto possiamo farlo con le migliori intenzioni, questo approccio non è una buona idea, poiché la politica spesso diventa una di quelle cose che alimenta i nostri problemi piuttosto che aiutarci a risolverli, trasformandosi così in un fattore che distrugge le nostre città. La mia opinione è che se vogliamo mantenere le città come luoghi vivaci e importanti nella costruzione della società, dobbiamo riconoscere le tensioni e i compromessi nelle politiche che creiamo, perché hanno spesso conseguenze umane.
Se vogliamo veramente creare città più eque, dobbiamo riflettere sui valori in cui crediamo come società. Questo significa senza dubbio fare scelte difficili e impopolari, ma l’alternativa è l’ulteriore atomizzazione della società e la dissoluzione delle città come luogo di speranza.
Parlando di politiche cittadine, un tema fondamentale è quello della densità urbana: è come la maternità o la torta di mele per gli americani, qualcosa che tutti devono semplicemente amare. Per i politici sempre concentrati sulle prossime elezioni, i programmi che promuovono la densità sembrano lungimiranti e positivi, mentre per gli urbanisti sono un modo per mantenere il controllo dello spazio cittadino. La densità abitativa può dare benefici sociali, ambientali ed economici senza ricorrere a scelte impopolari come un aumento delle tasse o l’uso di fondi pubblici a vantaggio dei gruppi sociali più vulnerabili. Essendo percepita come un valore positivo, la densità urbana è stata adottata come un elemento su cui investire da città, governi e organizzazioni internazionali come la Banca mondiale e le Nazioni Unite.
Ma se tutto suona così bene, dove si trova il trucco? Il problema è che politiche in questa direzione, e soprattutto la loro attuazione, sono molto complicate, sono un complesso compromesso tra priorità economiche, sociali e ambientali che vengono negoziate tra il governo locale, l’industria dello sviluppo, i gruppi di interesse e le comunità locali. Per sua natura, la densità è politica e la politica è mediata dai nostri valori e da chi ha il potere di prendere le decisioni.
Un esempio lampante di questo precario equilibrio è la situazione abitativa in tutte le più importanti città del mondo, dato che ormai è chiaro che la costruzione di nuovi alloggi non basta da sola a risolvere la carenza cronica di abitazioni. Il costante aumento dei prezzi delle case spinge a investire nelle abitazioni come risorsa finanziaria, il che guida la speculazione e riduce ulteriormente l’accessibilità economica per molti potenziali acquirenti. Le élite globali comprano case nelle principali città del mondo, spingendo i prezzi fuori dalla portata della popolazione locale. Una politica seguita sempre più spesso anche dai grandi fondi di investimento e pensionistici. Per questo Berlino ha la più grande quantità di beni abitativi nei portafogli istituzionali in Ue, seguita da Londra, Amsterdam, Parigi e Vienna.
Questa crisi di accessibilità abitativa spinge gli abitanti a fare cose imprevedibili per i pianificatori urbani. Cercando di mitigare la perdita di famiglie nella capitale, la città di Londra, per esempio, ha investito nella realizzazione di nuovi blocchi di appartamenti rivolti alle famiglie. Sfortunatamente, molte non possono permettersi l’acquisto o l’affitto di queste proprietà, che si riempiono invece di giovani professionisti che vogliono vivere più vicino al centro città e ai suoi servizi. Tre professionisti che coabitano saranno quasi sempre in grado di superare l’offerta di una famiglia di quattro persone. Così le giovani famiglie si trovano a vivere in appartamenti con due o una sola camera da letto, con ricadute sulla qualità della vita dovute al sovraffollamento. La condivisione degli spazi può così essere una scelta temporanea per alcuni, ma spesso diventa una necessità per altri.
La mia opinione è che in molte delle nostre città ci affidiamo quasi esclusivamente al mercato per fornire i nostri beni sociali, comprese le abitazioni a prezzi accessibili. Il modello in vigore a Londra è che il permesso di costruire nuovi alloggi è concesso alla condizione che una certa percentuale sarà disponibile a prezzi abbordabili. Il problema è che le aziende coinvolte non sono società filantropiche, ma sono lì per realizzare un profitto. Credo che quando vengono concessi nuovi permessi di costruzione, la città e i suoi residenti debbano avere qualcosa: ogni sviluppo ha un impatto sul luogo in cui è costruito. Questo dovrebbe includere benefit come strade migliori e spazi verdi, ma anche un contributo per alloggi più abbordabili. Tuttavia, dati i costi e le tariffe di costruzione, questo approccio non avrà mai uno sviluppo abbastanza rapido per coprire la richiesta crescente di alloggi a prezzi ragionevoli.
La speranza per una soluzione a questo problema si può trovare in una miriade di progetti di piccola e media scala in tutta Europa. Alcuni sono guidati da città o consigli locali e altri dalle singole comunità. La città di Barcellona (Catalogna), per esempio, ha avviato una politica di costruzione e acquisto di appartamenti ed è riuscita in soli sei anni a raddoppiare la sua disponibilità di alloggi popolari. Nel Regno Unito circa l’80% dei comuni è ora coinvolto in programmi di social housing, dopo che per anni il governo ha diminuito il numero di alloggi popolari di sua pertinenza. Berlino e Barcellona hanno anche rafforzato il controllo sull’affitto illegale di appartamenti a breve termine ai turisti per garantire che rimangano più alloggi privati in affitto a disposizione degli abitanti della città. In tutta Europa si moltiplicano esperienze di co-housing.
Dobbiamo ammettere che, in molte delle nostre città, l’inaccessibilità economica degli alloggi è una delle cause profonde della disuguaglianza sociale. Come cittadini, è nostro compito riconoscere che il governo locale deve avere un ruolo più ampio nella fornitura di abitazioni, che non possono essere magicamente pagate dal settore privato. Ci saranno da fare scelte difficili sui fondi necessari, ma se vogliamo davvero “riparare” le nostre città e farle tornare luoghi di speranza dobbiamo capire che servono una profonda riflessione sui nostri valori e decisioni coraggiose.

IL PROBLEMA DELL’ALLOGGIO IN ITALIA

Oggi, anche in Italia trovare un alloggio dignitoso a prezzi accessibili, proporzionati al reddito rosicchiato da un’inflazione che si prospetta sempre più famelica, è una missione impossibile per chi non è figlio di papà o ha non ha “Santi in Paradiso”.
Rispetto ad altri paesi civilizzati, come ad esempio quelli menzionati dalla docente londinese, nel nostro Paese non si parla più da decenni di politiche della casa. Anzi, i politici ed esponenti del mondo cattolico preferiscono trovare le cause della denatalità nell’egoismo femminile, immancabilmente demonizzando l’elevata cultura poichè causa principale dell’allontanamento delle donne in età fertile dal dovere sociale di produrre contribuenti, soldati, operai…
La nostra associazione per statuto si occupa di progetti di cohousing promovendo l’aggregazione della domanda, di alloggi e servizi, e orientati in primis al recupero del patrimonio immobiliare abbandonato, obsoleto e svalutato con l’ambizioso obiettivo di reinserirlo nel mercato, creare benessere sociale e premiando gli investitori virtuosi.
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